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A4 presentazione
Maggio 2011

Se ci venisse chiesto su due piedi di dire qual è la scultura più famosa e
rappresentativa di Bologna senza ombra di dubbio risponderemmo "Il Nettuno".
Complici la sua storia antica e la sua grande visibilità ma, nondimeno, i rituali
neo-pagani legati alle lauree universitarie e alle vittorie sportive della città.

Quello che però non tutti hanno presente è perché una città di terra abbia come
simbolo il dio del mare. È infatti solo la recente storia urbanistica della città a
prediligere il traffico automobilistico, mentre in realtà per la maggior parte della
sua millenaria storia Bologna è stata una città navigabile percorsa ovunque da
canali (ora coperti) che portavano al Po e addirittura fino a Venezia.
Bologna era esattamente a metà tra la terra e l'acqua, come le rane: gli esseri
anfibi per eccellenza che vivono tra i due mondi. Simbolici messaggeri di due
modi di vivere e di intendere la vita. Esattamente come Marcello Magoni: a metà
tra la città e la campagna, nel doppio ruolo di uomo del fare e di uomo del sapere.

Le sue creature di terracotta rappresentano un ideale passaggio di testimone tra la
scultura antica e il mondo moderno, tra Bologna e la sua provincia, tra
l'artigianato e l'arte, come un Caronte che traghetta le persone dalla
tranquillizzante alienazione contemporanea all'inquietante vita rupestre.

Oggi in Italia i "veri" scultori sono davvero pochi, una ventina al massimo, e
nonostante la giovane età Marcello Magoni con la ricerca sulla forma pregna di
sostanza può essere annoverato tra questi pochi. Gli altri sono solo artisti.

Helios Pu
Art director e presidente dell'Associazione culturale ComBoArt


Ottobre 2008
“Segreto, forse, contenuto nelle rane liminali di Marcello Magoni esposte anch’esse in piazza Garibaldi. Rane, realizzate con canne palustri, che giocano su un’imponente altalena, costruita con le aste delle cassette di pioppo utilizzate per portare la frutta al mercato, osservano il mondo prendendo in giro gli sforzi dell’uomo, fatti sin dall’infanzia, per alzarsi al cielo. Loro che possono saltare si dondolano su un’altalena dove mai bambino potrebbe salire.” Katia Baraldi
Dal testo del catalogo Ri.creazione, Biennale per giovani artisti emergenti dedicata all’arte del riciclo, Città di Castelfranco Emilia.


Dicembre 2007
“Ti chiedi forse come una rana possa affogare in una pozza di pioggia?”
Marcello Magoni nasce a Bologna sul finire del 1978. Figlio d’arte, cresce in un fertilissimo habitat fatto di animali di ogni genere, piante, campagna, polpette di sabbia e di fango, carri mascherati.
Pluridiplomato a pieni voti in scultura presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna, può vantare tra i suoi insegnanti scultori come (in ordine alfabetico) Arrigo Armieri, Andrea Franchi, Mauro Mazzali, Guglielmo Vecchietti Massacci e Nicola Zamboni.
Geograficamente conteso tra San Giovanni in Persiceto e Decima, dopo anni di collaborazioni ed esposizioni con il comune di residenza, sbarca da ambasciatore nella terra di Re Fagiolo, portando con sé un corteo di anfibi.
La metamorfosi è forse il soggetto che maggiormente ha affascinato Marcello Magoni fin dalla più tenera età: le crisalidi, i giocattoli transformer, i carri di carnevale che fanno “lo spillo”, gli oggetti che non sono (solo) quello che sembrano. Questo porta alla ricerca di una verità altra, nascosta, ottenibile magari osservando la stessa realtà da un nuovo punto di vista o aprendo una serratura nascosta con la chiave giusta. Tanti i significati, più sottili o più profondi, che si inseguono l’un l’altro nelle sue opere di scultura, pronti a svelarsi a chi in modi e tempi diversi ha percorso come l’artista un pezzetto di quella tortuosa strada che passa per il mito, percorre il folclore, costeggia i fiumi della musica, sfiora l’iniziazione e fa un girotondo divertito attorno alla realtà.
L’anfibio, creatura liminare per eccellenza, viene scelto come potente simbolo di collegamento tra due mondi, due realtà, come cavalcatura verso il regno dei morti in una caccia notturna. Come frequentemente veniva scelto come compagno di giochi da un Marcello bambino.
Quando viene interpellato sulla propria attività, Marcello ama rispondere “lavoro la terra”, crogiolandosi nell’ambiguità agreste che una dichiarazione simile possa suscitare. È infatti il fango, l’argilla, la terra su cui poggiamo i nostri piedi di cui è formato in buona parte il nostro territorio (fino a poco tempo fa argilloso e paludoso) la materia prediletta dallo scultore per plasmare le proprie figure. Un materiale ritenuto povero, umile, ma con millenni di storia sulle spalle e una densità di significati imbarazzante.
In occasione di questa esposizione si possono ammirare sette opere scelte tra la produzione più recente, quasi tutte offerte per la prima volta agli occhi del pubblico.
Gaetano Sorbetti
Presentazione della mostra “Ti chiedi forse come una rana possa affogare in una pozza di pioggia”, 2007
Le rane di Marcello Magoni
È giovane, si è diplomato all’Accademia, è bravo. È anche figlio d’arte. Suo padre Maurizio era un progettista dotato di un talento artistico non comune. Aveva una stretta di mano che ti spezzava le dita: eppure, con quella stessa mano esageratamente massiccia e forte, sapeva distillare finezze di disegno che mai avresti sospettato. “Papà era il più bravo di tutti; quando rivedo una sua tavola, la trovo di una tecnica perfino imbarazzante,” dice di lui Marcello, collocando sé stesso su uno scalino più basso, insieme a fratelli e sorelle: i giovani Magoni sono quattro, tutti passati per scuole d’arte, e tutti impegnati professionalmente nel campo artistico. Marcello il suo percorso se lo sta aprendo con la scultura. Predilige questa forma espressiva e così argomenta la sua scelta: “Perché dovrei cimentarmi con la pittura? La scultura contiene in sé tutte qualità fisiche ed estetiche del reale.” Alcuni suoi lavori, che il pubblico locale conosce (magari ignorandone la paternità), sembrano confermare questa idea di scultura, intesa come un mix esuberante di fisicità e di colore. Porta infatti la sua firma l’elefante rosa che per qualche settimana si è librato sulla facciata del municipio di San Giovanni in concomitanza con la mostra di Andrea Rivola. Suo è anche il mostro preistorico (triceratopo, per l’esattezza) che troneggiava sull’arengario dell’ex Casa del Fascio, nella stessa piazza di San Giovanni, in occasione della rassegna sui “Persicetauri”. La mostra delle “Rane”, terrecotte dipinte, è la sua prima personale, allestita nella sala di Marefosca. L’ha preparata in circa due mesi, producendo in proprio praticamente tutto: sculture, allestimento, pubblicità. Sua anche la suggestiva colonna sonora con il gracidio notturno delle rane: l’ha registrata nottetempo dalla finestra della sua casa, nella campagna a nord di Persiceto. Marefosca gli ha messo a disposizione il locale e lui ha fatto il resto, con un investimento che guarda al futuro. Perché le rane? “Perché amo la molteplicità dei significati,” dice. E cita i giocattoli della sua infanzia, non ancora lontana nel tempo, che facevano della trasformazione la loro qualità più attraente e fantastica. La cerniera che si trova sul dorso dei suoi giganteschi ranocchi, vuole ammiccare proprio ai mutamenti di pelle, alle aperture di sipario, a svelamenti da scoprire. Ancora: la rana è un anfibio, la sua natura è per definizione duplice. È una creatura di confine fra l’acqua e la terra. “Vive nel fango, e il fango è il materiale con cui io l’ho plasmata,” dice ancora. I contadini, spiega, la tenevano in grande rispetto e raccomandavano ai ragazzi di non maltrattare neppure i rospi, perché quel loro andirivieni sulla linea di confine significava anche un transito fra la vita e la morte. “Ci poteva essere anche tuo avo nelle forme di un rospo.” Se gli fai notare che un grande rospo di terracotta non è l’oggetto ideale da mettersi in salotto, non si scompone. L’importante è farsi conoscere, avere un’idea, altre idee verranno. E qualche commessa comunque è già venuta. Quanto costano i suoi lavori? Marcello si stringe nelle spalle. Fare il prezzo è più difficile che fare la scultura. Ma ha idee precise: “Calcolo quante ore ho dovuto lavorarci.” Alla domanda impertinente sulla sua tariffa oraria, si stringe nelle spalle: “Non so… Posso equiparare la mia perizia a quella di un idraulico? Forse sì, calcolando che sono dovuto andare a scuola per dodici anni, e che la mia formazione è costata un tot…” Come un idraulico, allora? “Sì, ma sto un po’ più basso perchè sono giovane e l’arte può sembrare meno essenziale dell’acqua nei rubinetti…” Auguri a Marcello. È bravo, ha talento e crede nel suo lavoro. Che la tenacia lo assista.
Maurizio Garuti
pubblicato sul mensile culturale “Marefosca”
Giudizio sulla tesi
Documenta brillantemente in elaborazione a supporto digitale (cd rom) che costituisce già in sé stessa apprezzabilissima opera di documentazione sulla propria identità, una complessa opera di modellazione plastica sul tema del “mostruoso immaginario” con riflessi dall’antico al manierismo al surrealismo, di forte e bella evidenza sia come opera singola che in contesto spettacolarizzato. 110 + lode
Commissione presieduta dal prof. Adriano Baccilieri
25/10/2006